Serata tranquilla, come tante altre, spritz in riva al lago e poi grigliata mista con la persona migliore che potessi conoscere.
Quando arriva la telefonata di mio padre.
"Ciao papo!"
"Michael è morto."
"Ma Michael - Michael?"
"E certo cretina, chi se no? Sto andando al pronto soccorso!"
Le lacrime inondano gli occhi, la corsa frenetica verso l'ospedale e la scena peggiore che una persona possa vedere: una madre sdraiata sul letto d'un ospedale di provincia che abbraccia il figlio e urla "Non potete portarmelo via!".
Le chiamate che devi fare, perché i genitori sono sotto shock: al datore di lavoro, al suo supervisore, alla nonna.
Mio cugino. Vent'anni. Aveva sconfitto il cancro ed è morto mentre correva, improvvisamente, da solo, in una stradina di montagna.
Non ho mai avuto la sensazione che il dolore potesse essere tangibile, fino a quella settimana. Dove tu devi essere forte perché ci sono persone che non hanno la forza di reagire. Perché è stato tolto loro un figlio, un fratello, un nipote senza preavviso. E allora tu fai quella forte, quella che ringrazia per le condoglianze, quella che organizza le parti più "burocratiche". Fino a che non vedi le centinaia di persone fuori dalla chiesa e vedi la bara chiudersi e lì crolli, perché capisci che è tutto vero. Ed è tutto finito.
Ho continui flashback di quel giorno. A volte ancora non mi sembra vero. A volte ho paura a rapportarmi con la dura realtà.
Ho avuto la riprova che ho delle persone stupende accanto a me. Dal sant'uomo che ha passato tutte le sere accanto a me a parlare di aria fritta con persone che nemmeno conoscevo e considerarlo un amico è riduttivo, all'amica di sempre che quel lunedì sera è uscita di casa in pigiama semplicemente per abbracciarmi, a tutte le persone che m'hanno dedicato un pensiero, un messaggio, un sorriso. Piccoli gesti che riscaldano il cuore.