sabato 10 ottobre 2009

La fame che abbiamo, Dave Eggers

L'indomani, al pomeriggio, avrebbero lasciato Alta - Pilar diretta a casa, Hand a Granada; di piani per il futuro non ce n'erano - e così affittarono le tavole al mattino presto e furono in acqua per le nove. Sarebbe stata una giornata priva di complicazioni.
Hand si spinse al largo prima di lei, e lei lo guardò finché non ebbe troppo caldo per rimanere asciutta. Vogò oltre il punto in cui le onde si infrangevano, il che significò attraversare quattro onde perfettamente formate che le crollarono addosso come ubriachi. Ogni volta dovette spingere la punta della tavola dentro l'onda sperando di rimanere a bordo, oppure optare per una resa preventiva, tuffarsi e attendere che la tavola balzasse via e quindi tornasse da lei. Non si era mai sentita così stanca.
Di lì a poco Hand partì di nuovo, su un'onda più grossa, un'onda che avrebbe travolto Pilar, se solo ci avesse provato. Lei lo guardò decollare verso la spiaggia, come se Hand avanzasse più veloce dell'onda stessa. Si rese conto che il movimento delle persone che cavalcavano le onde pareva assai più veloce delle onde che viaggiavano senza passeggeri. Quell'onda in particolare Hand l'aveva presa nell'istante perfetto, e adesso la cavalcava verso sinistra, e andava, andava, mentre l'onda correva verso l'estuario prendendo velocità. Il movimento sembrava non aver fine. Era perfetto. Hand salutò Pilar con la mano. Lei ricambiò. È strano, pensò, salutare qualcuno che sta facendo surf. Lo vide gesticolare e intanto proseguire, girando leggermente la tavola, veloce, fluido. Forse lo amava.
Si rimise a sedere, scrutando la distesa blu in cerca di rigonfiamenti.
Se questa storia contenesse una domanda in attesa di risposta non ve ne sarebbe una sola, ma molte, e sarebbero le seguenti. Come può il mondo permettere ciò? Permettere a queste persone di vivere così a lungo? Di percorrere tante miglia verso sud, per raggiungere un luogo così diverso eppure così confortevole, e in quel luogo incontrarsi di nuovo? Permettergli di ritrovarsi nudi insieme per la prima volta? Che cosa penserebbero i loro genitori? Che cosa penserebbero i loro amici? Qualcuno avrebbe da ridire? Chi farebbe progetti per loro? Quante volte nel corso di una vita possiamo prendere decisione che siano importanti ma che non facciano male a nessuno? Siamo obbligati - forse lo siamo - a dire sì davanti ogni scelta qualora a nessuno sia fatto del male? Utilizziamo l'espressione fare del male quando parliamo di cose come questa perché, quando vanno storte, ci si può sentire come colpiti nello sterno da un animale enorme che per travolgerci ha preso una rincorsa di chilometri.

[Tratto dal racconto L'unico significato dell'acqua simile a olio. La traduzione è pessima e il libro pieno di errori ma, tra alti e bassi, piacevole.]

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