sabato 19 luglio 2008

La Bambina che Salvava i Libri, Markus Zusak

[Mi rendo conto che è un brano abbastanza lungo, ma non sono riuscita a trovare un solo paragrafo significativo, come mio solito. L'ho amato, l'ho letto - quasi - d'un fiato. E mi sono commossa come non facevo da anni per un libro.]

Vista dall’interno, la fiumana degli ebrei era una tenebrosa confusione di braccia e di gambe. Uniformi lacere. Nessun soldato l’aveva ancora vista, e Max la mise in guardia: «Devi lasciarmi andare, Liesel». Tentò persino di spingerla via, ma la ragazza era troppo forte. Le braccia emaciate di Max non ebbero la forza di respingerla, e lei continuò a camminare tra la sporcizia, la fame, lo smarrimento.
Poi, il primo soldato la scorse.
«Ehi!» gridò, puntandole contro il frustino. «Ehi, ragazza, che stai facendo? Fuori di lì!»
Quando lei lo ignorò del tutto, il soldato si servì del braccio per aprirsi una strada in mezzo allo spessore della gente, spintonandola da parte per farsi largo. Si curvò su di lei, mentre Liesel lottava e notava la strana espressione sul volto di Max Vandenburg: lo aveva già visto spaventato, ma mai così tanto.
Il soldato la afferrò.
Le sue mani le malmenarono gli abiti. Si sentì fino alla pelle le ossa delle sue dita, la giuntura di ogni nocca. «Ho detto fuori!» le ordinò, e trascinò la ragazza di lato, scaraventandola nella ressa dei tedeschi che guardavano. Faceva più caldo, il sole le scottava il viso. La ragazza cadde lunga distesa, dolorosamente, ma si rialzò. Si riprese e aspettò; poi, rientrò nella fila.
Stavolta si fece strada da dietro.
Vedeva distintamente, più avanti, il cespuglio di capelli e vi si avvicinò di nuovo.
Questa volta non poté giungere fino a lui, si fermò. Da qualche parte, dentro di lei, c’erano anime di parole che si arrampicavano fuori, al suo fianco.
«Max», disse. Lui si volse e per un attimo chiuse gli occhi, mentre la ragazza proseguiva: «'C’era una volta uno strano ometto'», disse. Le sue braccia erano abbandonate, ma le mani, sui fianchi, si stringevano a pugno. «'Tra gli scuotitori di parole c’era una ragazzina…'»

Uno degli ebrei in cammino verso Dachau si arrestò.
Rimase assolutamente immobile mentre gli altri deviavano cupi intorno a lui, lasciandolo solo. I suoi occhi vacillarono, e fu tanto semplice. Parole dalla ragazza all’ebreo, parole che adesso si arrampicavano su di lui.

Quando parlò di nuovo, le domande le s’inciampavano sulla bocca. Lacrime cocenti le gonfiavano gli occhi, perché non voleva lasciarle uscire: meglio mostrarsi risoluta e fiera. Lasciare che a fare tutto fossero le parole. «'Sei proprio tu?'» disse. «'È proprio dalla tua guancia che ho preso il seme?'»

Max Vandenburg rimaneva fermo.
Non cadde in ginocchio.
Tutto si era fermato. Lo osservavano.
Restando immobile, Max osservava prima la ragazza, poi direttamente il cielo, che era ampio, azzurro e magnifico. Grandi raggi – travi di sole – piovevano a caso qua e là sulla strada, meravigliosi. Le nuvole inarcarono il dorso per guardarsi indietro quando ripresero a muoversi. «È una giornata così bella», disse, con voce spezzata in tanti frammenti. Un gran giorno per morire. Un gran bel giorno per morire, come questo.
Liesel andò verso di lui. Ebbe abbastanza coraggio da allungare un braccio e toccare il suo volto barbuto. «Sei proprio tu, Max?»
Una splendida giornata tedesca, e la sua folla attenta.
Lui le baciò il palmo della mano. «Sì, Liesel, sono io», e si premette sul viso la mano della ragazza, piangendo fra le sue dita. Piangeva, mentre arrivavano i soldati e un gruppetto di ebrei insolenti stava lì a guardare.
Rimase in piedi mentre lo frustavano.
«Max», piangeva la ragazza.
Poi tacque, quando la trascinarono via.
Max.
Il pugile ebreo.
Dentro di sé, Liesel disse tutto.
Maxi-taxi, non è così che ti chiamava quell’amico di Stoccarda quando combattevi per strada, ti ricordi? Eri tu… il ragazzo dai pugni duri, e dicevi che avresti tirato un cazzotto in faccia alla morte quando fosse venuta a prenderti. Ricordi, Max? Sei stato tu a raccontarmelo. Io ricordo tutto…

Ricordi il pupazzo di neve, Max?
Ricordi?
In cantina?
Ricordi la nuvola bianca con il cuore grigio?
A volte il Führer viene ancora a cercarti. Gli manchi. A noi tutti manchi.
La frusta. La frusta.

La frusta piombò giù dalla mano del soldato, abbattendosi sul viso di Max. Gli lacerò la guancia, facendogli un taglio sulla gola.
Max cadde al suolo, e il soldato si volse contro la ragazza, con la bocca aperta. Aveva denti bianchissimi.
Un lampo improvviso davanti ai suoi occhi. Ripensò al giorno in cui avrebbe voluto che Ilsa Hermann, o almeno la fida Rosa, la pigliassero a schiaffi, ma né l’una né l’altra l’aveva fatto; quella volta, però, non rimase delusa.
La frusta le lacerò il colletto, raggiungendola alla scapola.
«Liesel!»
Conosceva quella persona.
Mentre il soldato faceva roteare il braccio, la ragazza intravide negli intervalli della folla un atterrito Rudy Steiner che la chiamava. Vedeva la sua faccia stravolta, i suoi capelli gialli. «Liesel, vieni via di lì!»
La ladra di libri non veniva via.
Serrò gli occhi e si prese la seconda, bruciante frustata, poi un’altra, finché il suo corpo non urtò il selciato tiepido della strada, che le riscaldò la guancia.
Arrivarono altre parole, stavolta dal soldato.
«Steh’ auf
Quelle due economiche parole erano rivolte non alla ragazza, ma all’ebreo. Il concetto venne poi sviluppato: «In piedi, lurido stronzo, figlio di puttana ebreo, in piedi, in piedi…»

Max si sollevò.
Solo un altro sforzo, Max.
Solo un altro sforzo, sul freddo pavimento dello scantinato.

I suoi piedi si mossero.
Si trascinarono avanti, e riprese il cammino.
Le sue gambe vacillavano e le mani strofinavano i segni dello scudiscio, per alleviarne il bruciore. Quando cercò di guardare nuovamente Liesel, le mani del soldato erano sulle sue spalle insanguinate e lo sospinsero via.

Arrivò il ragazzo. Le sue gambe smilze si piegarono e chiamò qualcuno alla sua sinistra.
«Tommy, vieni qui ad aiutarmi. Dobbiamo portarla via. Sbrigati, Tommy!» Sollevò la ladra di libri per le braccia. «Su, Liesel, ti devi allontanare dalla strada.»

Quando fu in grado di reggersi in piedi, guardò le facce attonite e raggelate dei tedeschi. Si concesse di accasciarsi ai loro piedi, ma solo per un momento. Un graffio parve strofinarle un fiammifero su un lato del viso, là dove aveva urtato il terreno. Ogni pulsazione lo faceva fremere.
Giù, in fondo alla strada, vedeva ancora confusamente le gambe e i talloni dell’ultimo ebreo in marcia.

Il viso le bruciava e soffriva acutamente alle braccia e alle gambe, un intorpidimento a un tempo doloroso ed estenuante.
Si mise in piedi.
Irritata, prese a camminare, poi a correre giù per la Münchenstrasse, trascinandosi sugli ultimi passi di Max Vandenburg.
«Ma che cosa fai, Liesel?»
Si divincolò dalla presa delle parole di Rudy, ignorando la gente che la osservava. Quasi tutti rimasero muti, come statue dai cuori pulsanti. Come spettatori delle ultime fasi di una maratona.
Liesel gridò ancora, con i capelli sugli occhi: «Per favore, Max!»
Dopo circa trenta metri, mentre un soldato si voltava, la ragazza sentì delle mani che le allacciavano la vita da dietro, mentre il ragazzo della porta accanto la faceva cadere sulle ginocchia, ricevendo i suoi pugni come se fossero regali. Accoglieva le mani e i gomiti ossuti di Liesel con appena qualche breve gemito. Accettava i violenti, goffi spruzzi di saliva e le lacrime come se fossero carezze sul viso, mentre la immobilizzava

• • •

Un ragazzo e una ragazza avvinti in mezzo alla Münchenstrasse.
Sconsolati sulla strada.
Insieme osservarono la gente scomparire. La guardarono dissolversi nell’aria.

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